martedì, luglio 11, 2006

Il coraggio di vincere



Molte volte si dice che per vincere un Mondiale questo debba essere scritto già nel destino. Probabilmente è davvero così. Ma a guardarlo dal giorno dopo tutto sembra più ovvio, e più scontato. Puoi essere anche destinato, ma ci sono scelte che ti cambiano la vita. E’ vero, sembra quasi, che l’ Italia questo Mondiale abbia scelto di vincerlo, tirando fuori il suo incredibile spirito di abnegazione, di sacrificio, di reazione, di compattezza, di grande coraggio. Il coraggio di tirare fuori, in barba a tutte le critiche, e a tutte le sentenze già scritte per bocca dei media, tutte le qualità tipiche degli italiani: l ‘orgoglio per la maglia e la nazione, il piacere per l’ ironia e l’autoironia, il grande spirito di lavoro, persino una simpatica e popolana diplomazia nell’ accettare,da parte di tutti i giocatori, il titolo di “gregario”. Senza tutto ciò non avremmo potuto alzare quella Coppa al cielo di Berlino.
Molti calciatori hanno coronato, un sogno e insieme una grandissima carriera. L’ anagrafe quasi impone ad alcuni dei nostri come Cannavaro, Materazzi, Inzaghi, Peruzzi, Del Piero, forse Totti che questi siano i loro ultimi Mondiali. Probabilmente non li vedremo ai prossimi Mondiali. Probabilmente. Ed intanto con la maturità dei veterani, ma con l’ energia degli esordienti sono scesi in campo sapendo di giocarsi l’ ultima grandissima occasione della propria carriera, di giocarsi la più grande in assoluto, sapendo che un altro Mondiale difficilmente ci sarebbe stato. Per questo nei goal di Del Piero, di Inzaghi , di Materazzi, nel rigore di Totti con l’ Australia c’è il coraggio di vincere, di scendere in campo sapendo che la tua carriera ti ha dato l’ ultima chance per entrare nella Storia, di entrare tra i più Grandi, di essere il più Grande. E tu c’eri. Eri contro la Germania, sempre a Dortmund, a pescare quell’ angolo alto, che per anni, i tuoi fans non ti hanno visto più illuminare, e come quando a Dortmund all’ esordio in Champions nel 95’ lo pescasti, irraggiungibile per il portiere,e poi ne arrivarono altri 10 così, oggi come allora, si rinnova una grande emozione. Ancora, eri su quel dischetto all’ ultimo minuto, ad essere decisivo per la tua squadra, come lo sei sempre stato, come solo un grande campione sa fare. E dagli undici metri l’hai messa dentro. Eri ancora una volta sul filo del fuorigioco, su quella linea d’orizzonte che davanti ha l’infinito e dietro tutto il resto, scattando più veloce di sempre, e l’ unica cosa che vedevi era la porta, e quel pallone da mettere dentro.
Eri a saltare in mezzo all’ area come da tempo non facevi, più in alto di tutti, schiacciando quella palla nella rete, ancora una volta imprendibile per tutti. Eri davanti al tuo portiere a difendere la porta, come può difenderla il migliore difensore al Mondo, e prima di arrivare in Finale, non c’era avversario che l’ avesse messa dentro.
Tutti messi insieme, questi sono i momenti in cui la Storia restituisce ai suoi campioni la Coppa del Mondo. Ad alcuni la restituisce per la loro grande carriera, ad altri la regala per la grande classe.La classe di Buffon e Zambrotta, unici. La classe di Grosso, di essere un uomo di C2 che qualche anno dopo va a giocarsi un Mondiale non solo da protagonista, ma persino da uomo decisivo. E poi la classe di Pirlo, autentico catalizzatore della manovra azzurra, e ispiratore della quasi totalità delle manovre azzurre. La classe di Rino Gattuso, di sfiancarsi da una fascia all’ altra, recuperando centinaia di palloni, trovando la forza per non essere mai stanco. La classe, questo è certo, di tutta la squadra,uno per uno, sempre compatta, mai polemica e con un solo obiettivo:vincere.
La grande classe di Marcello Lippi, a cui la Storia aveva riservato grandi gioie e grandi amarezze, di mettere insieme tutto ciò.
Dagli ottavi in poi ci era sembrato come se giorno dopo giorno la vittoria fosse solo una naturale prosecuzione di tutto ciò che stava accadendo. Che fosse nella logica delle cose. Quella Coppa in un certo senso siamo andati a riprendercela, perché ci spettava, perché, almeno in questo Mondiale, la sentivamo, tutti, già nostra.

(foto Ap)

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